Vorrei condividere la lettura di due interessanti interventi pubblicati su “Vita Nuova”, settimanale della Diocesi di Parma. L’argomento di discussione è la crisi della città, resa evidente dal contemporaneo verificarsi di eventi negativi come il fallimento della squadra di calcio ed il rischio di chiusura dall’aeroporto. I contributi sono di Paolo Scarpa, presidente della storica associazione culturale cittadina “Il borgo”, e Guido Campanini. Di quest’ultimo è l’analisi forse più “cruda”, che sostanzialmente condivido. Personalmente, penso che la crisi risalga alla poco giustificata grandeur delle giunte Ubaldi, della capitale faraonica che avrebbe dovuto moltiplicare il proprio bacino di utenza. Metropolitana, ponti e sovrappassi per biciclette scarsamente utilizzati, stazione europea in cui non ferma l’alta velocità, ecc. E poi una sorta di lamentela generalizzata nei confronti di Bologna e Roma perché non riconoscono (e non finanziano) abbastanza la città ducale.
È forse arrivato il momento di rimettere i piedi per terra.
crisi
Restituito il vero significato a “cavaliere”: nominato un imprenditore di origini iraniane che non scarica la crisi sui suoi dipendenti
StandardAlla faccia dell’intelligente Matteo Salvini e del nostro più illustre ex-cavaliere. Il quale si vanta di non aver mai licenziato nessuno. Peccato che le evidenze processuali abbiano dimostrato che le buone relazioni industriali fossero, come dire, rese possibili da un utilizzo disinvolto dei denari pubblici (leggi evasione fiscale).
Mi interessa piuttosto l’esempio per i leghisti: un imprenditore nato a Teheran, non in Val Brembana. Che considera la sua azienda come una comunità. Al punto da restituire – passata la crisi – ai dipendenti il mancato reddito derivante dalla cassa integrazione. Nessun licenziamento, ma tagli agli stipendi dei dirigenti. Una crisi condivisa in proporzione al compenso percepito, poi non a caso superata.
Sindacalisti commossi. Area relax in azienda per il benessere dei collaboratori. L’amore per l’Italia.
Il Medioevo della nuova Lega guidata da un vecchio quarantenne è lontanissimo da realtà come queste.
Finalmente la parola “cavaliere”, dopo i Tanzi e i Berlusconi, ritrova la sua dignità nel nostro camaleontico Paese.
Il cambiamento che non arriva
Non è sopportabile. L’aumento delle imposte indirette colpisce pesantemente chi stenta ad arrivare…
Il cambiamento che non arriva
StandardNon è sopportabile. L’aumento delle imposte indirette colpisce pesantemente chi stenta ad arrivare alla fine del mese, mentre fa un baffo a chi detiene, lecitamente o meno, grandi patrimoni o percepisce, lecitamente o meno, alti redditi.
È quindi iniquo che il governo ed il parlamento consentano, ancora una volta, che aumenti il prezzo dei quotidiani. Un settore, quello dell’editoria, perennemente in ‘crisi’ e, di conseguenza, perennemente foraggiato dallo Stato: già così, l’inefficienza degli editori è scaricata sugli incolpevoli lettori. Si aggiungono, poi, gli aumenti dei prezzi in edicola.
Il governo, se avesse gli ‘attributi’, chiuderebbe i rubinetti e lascerebbe subire ai giornali meno attrattivi – perché di minore qualità e/o meno efficienti – le leggi del mercato, magnificate da tutti ma solo a parole.
Quanti lettori giornalieri stimola, con la sua acclamata intelligenza corsara (acclamata perlopiù dai diversamente berlusconiani) il Foglio? Veramente troppo pochi. L’apporto al pluralismo, in mancanza di utenza, è pressoché nullo.
I 10 cent in più al giorno di cui la Gazzetta di Parma lo scorso 2 gennaio si scusava coi suoi lettori non avrebbero avuto, 15 anni fa, alcun impatto sul conto economico di una famiglia ‘media’. Con la grande crisi, sono sempre di più le persone che considerano importanti, da non sprecare, anche quei 10 cent al giorno.
E poi le autostrade: i pedaggi aumentano ancora, condizionando le decisioni di viaggio di sempre più famiglie. Mentre i disonesti, gli evasori e gli speculatori sono sempre più ricchi.
Le bollette energetiche, le tariffe assicurative, le rette degli asili: tutto aumenta a scapito dei cittadini onesti.
E il governo non fa niente per impedirlo. Il parlamento, pure, non fa niente.
Che delusione. L’ennesima.
Il governo pensa ad un introdurre, tramite decreto legge, un Fondo per aziende in crisi
StandardStaffette, giovani e professoroni: elogio della rivoluzione generazionale
StandardELOGIO DELLA RIVOLUZIONE GENERAZIONALE
Domenica scorsa ho letto su Repubblica un articolo di fondo di Tito Boeri che criticava la “staffetta” nelle aziende tra anziani e giovani, ventilata da più parti come misura da promuovere per combattere la disoccupazione giovanile.
L’economista spiegava che un anziano ancora in attività, lungi dall’essere un peso, costituisce invece un fattore di risparmio per lo Stato e per i contribuenti, senza contare che la sua esperienza e conoscenza può essere utilmente trasmessa sul posto di lavoro ai colleghi più giovani.
L’articolo assumeva talvolta toni ironici e sarcastici nei confronti degli attuali responsabili dei dicasteri di riferimento (Economia e Lavoro), entrambi non sospettabili di scarsa conoscenza delle discipline economiche.
Non contesto le tesi dell’economista, tuttavia non nascondo che i contenuti ed il tono dell’articolo mi hanno irritato. Come se, adesso, un opinion maker liberal riformista anti-establishment tendenza democrat pro-merito e pro-concorrenza fosse portato a smontare il giovanilismo imperante e la moda della rottamazione dei dinosauri.
Non parlo, appunto, di un economista iper-liberista e favorevole a qualsivoglia taglio alla spesa pubblica, ma di studiosi in genere attenti a non avallare la “macelleria sociale”.
Forse è proprio questo che mi ha irritato. Se gli autori fossero stati Giavazzi ed Alesina, me ne sarei sicuramente fatto una ragione.
I cosiddetti “giovani” (io raggrupperei nella definizione diverse generazioni, fino indicativamente ai 40 anni ma non oltre) in Italia sono costretti ad accettare condizioni di vita e di lavoro così vuote di futuro che i loro padri e le loro madri non le avrebbero mai accettate. Ai loro tempi il posto di lavoro a tempo indeterminato era la norma, lo standard, senza contare le innumerevoli deviazioni verso forme di assistenzialismo e clientelismo che ancora paghiamo (concorsi truccati, assunzioni guidate e raccomandate, baby pensioni, etc.).
Non esistono analogie con la situazione attuale, beffardamente causata da chi, spesso, ancora occupa le stesse posizioni privilegiate acquisite allora.
Data questa sconsolante realtà, forse che non c’è bisogno di una staffetta? Certo che ce n’è bisogno! Ma stiamo scherzando? Le supposte ragioni della teoria economica (il risparmio marginale per la collettività determinato dalla permanenza in azienda di un anziano) vengono propugnate da economisti di destra o di sinistra, liberisti o riformisti, keynesiani o samuelsoniani, krugmaniani o della scuola di Chicago, che non hanno mai azzeccato una – dico una – previsione in tutto il periodo precedente alla attuale lunghissima crisi strutturale mondiale e neanche nel mezzo. Da chi, di destra o di sinistra, in Italia continua da decenni (compresi gli anni di crisi) a percepire lo stipendio fisso di docente universitario cascasse il mondo, a prescindere da qualsiasi genialità o semplicemente conoscenza e abilità nel fare il proprio mestiere. Magari lo stesso studioso e opinion maker tuona contro le baronie universitarie, ma lo fa dall’interno. Esiste un abisso fra chi è dentro il sistema – tipicamente i “non giovani” – e chi ne è escluso – soprattutto i giovani. Temo che chi è dentro non capisca realmente la condizione di chi è fuori, anche se guarda a sinistra, strizza l’occhio alla meritocrazia – a parole, e solo per gli altri -, riempie la pagina con riferimenti all’economia sociale ed alle buone relazioni sindacali.
Temo che non la comprenda neanche chi ha figli “giovani”: forse per i propri ragazzi è ancora possibile qualche scorciatoia.
Nel nostro Paese c’è un problema generazionale grosso come una casa. Ci vuole una rottura. Ben venga la staffetta: per rassicurare gli economisti, a cui in fondo conviene che permanga l’attuale stallo per poterlo combattere a parole, potrei facilmente sostenere che l’innesto delle nuove generazioni – choccante all’inizio – non potrà che determinare un aumento strutturale di produttività nel giro di qualche anno.
Forse potrei, tuttavia, accettare le loro filippiche e speculazioni se fossero così gentili da azzeccare non dico tutte, ma almeno una delle loro previsioni sull’uscita dalla crisi nazionale, continentale o mondiale (a scelta).
Imprenditori pronti al Cambiamento
StandardL’imprenditore oggi deve saper cambiare. E’ sempre stato così, ma il tapis roulant corre oggi più velocemente rispetto a pochi decenni fa.
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